Sergio Dalmasso storico del movimento operaio. QUADERNI CIPEC e Altri Scritti
  

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Scritti e Materiale Vario di Sergio Dalmasso - Quaderni CIPEC

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schede Rossanda  Aprile 2014   Torna alle categorie

Rossana ROSSANDA, Quando si pensava in grande, Torino, Einaudi, 2013, pg. 241, 17,50 euro

Rossana ROSSANDA, con Mariuccia CIOTTA e Roberto SILVESTRI, Il film del secolo, Milano, Bompiani, 2013, pg. 341, 19 euro

Quando si pensava in grande(mai titolo fu più indovinato, confrontando la ricchezza del dibattito e dei contributi offerti, tra gli anni ’60 e i primi ’80, con la povertà dell’ oggi) raccoglie venti interviste di Rossanda a personaggi di primo piano della cultura e anche del mondo politico, tutte già comparse sul “Manifesto”, rivista o quotidiano.

I venti intervistati (per paradosso, tutti uomini, poiché, suggerisce l’autrice, metà della specie umana è stata esclusa dalla formazione dei codici e le donne che ne hanno preso coscienza erano isolate) sono filosofi, letterati, economisti, politici, sindacalisti che attraversano i “trenta gloriosi” anni in cui lo sviluppo è legato ai diritti sociali, in cui maturano la crisi del movimento comunista (ma neppure uno prevede il crollo dell’URSS o l’irrompere dell’islamismo) e – contemporaneamente - il lento declino dell’egemonia statunitense.

La prima conversazione è del 1965 ed ha per protagonista Gyorgy Lukacs. Si alternano filosofia e letteratura, con qualche prudente accenno alle questioni politiche. Stupisce e spiace, nel filosofo ungherese, la totale rimozione del suo giovanile Storia e coscienza di classe, considerato un errore in toto, come appare rigida e poco motivata la condanna della letteratura moderna, di Ionesco, Musil, Beckett: fra trent’anni nessuno parlerà di questi personaggi.

Il colloquio con Jean Paul Sartre avviene nella fase immediatamente successiva alla radiazione del Manifesto e quindi di Rossanda dal PCI (1969), in un periodo di profondo impegno politico di Sartre (post maggio 1968). Si intrecciano letture di Marx (l’alienazione, la ricostruzione della persona e della libertà), critiche alla funzione di freno del partito comunista francese, diverso, per Sartre, da quello italiano, il rapporto irrisolto e conflittuale tra movimento e partito.

Louis Althusser, tra i maggiori e più discussi studiosi di Marx, è intervistato poco prima della drammatica malattia mentale che lo porterà anche all’assassinio della moglie. Al centro il “punto cieco di Marx, la questione dello Stato. Nota, criticamente, l’autrice che, nel periodo successivo, mai più sia stata tentata una elaborazione critica della teoria e della pratica del movimento comunista, né sia stato rivisitato il concetto arendtiano di totalitarismo.

Due mondi paiono contrapporsi nel colloquio tra Rossanda ed Aragon, tra l’italiana, conscia della necessità di interrogare il passato e di ridiscutere categorie e il grande intellettuale francese che pare interpretare l’ortodossia, poco interessato alla conoscenza di tutto Gramsci e incapace di comprendere il perché delle domande del PCI o di parte di esso.

Triste, quasi segnata dall’età e dalle condizioni di salute del protagonista, la conversazione con Ernst Fischer, comunista austriaco espulso dal partito, che ripercorre l’austromarxismo (la figura di Otto Bauer), le potenzialità degli anni ’30, poi chiusesi in tragedia, sfiora appena l’Internazionale di quel periodo, le sue contraddizioni, i suoi drammi.

Ed ancora l’attualità. Il grande Paul Sweezy vede nella guerra in Vietnam il primo segno della perdita di egemonia da parte degli USA, Ernesto De Melo Antunes legge le trasformazioni in Portogallo, dopo la rivoluzione dei garofani, Jacques Delors e Pierre Mendès France, tra gli anni ’70 e le speranze, poi in gran parte deluse, suscitate dalla vittoria elettorale di Mitterand. Se il primo ripropone un riformismo forte che tenga conto dei bisogni operai e popolari, il secondo chiede trasformazioni radicali che superino le ricette keynesiane e, in una radicalizzazione iniziata nel 1968, analizza il deterioramento e l’imbarbarimento di un sistema ormai condannato alla decomposizione.

E’ commovente ed emozionante, ancora oggi, rileggere la conversazione con Salvador Allende, nel novembre 1971, ad un anno dalla sua elezione a presidente e meno di due anni prima del golpe militare. La conversazione con il presidente dell’autrice e di altri “eretici” non è gradita dal Partito comunista cileno che rispolvera le accuse di gringos, ignorantes, pekinistas…

Allende, che rifiuta di essere chiamato signor presidente e chiede il termine compagno, illustra con realismo le difficoltà del processo cileno: le nazionalizzazioni, la politica statunitense che può bloccare il paese in pochi giorni, gli indennizzi, la fine delle riserve, le spinte di massa. Un possibile colpo di stato significherebbe la guerra civile, un bagno di sangue: E’ l’Indonesia. Credete che gli operai si lasceranno togliere le industrie? E i contadini le terre?...Non tollererò che si giochi con questo. Per questo, il presidente crede nel lealismo dell’esercito. Nota, ancora criticamente, l’autrice che la sinistra europea fu poco interessata all’esperienza cilena, non colse quanto quel tentativo, radicale e coraggioso, fosse intollerabile per gli USA (e quanto irritasse l’URSS) ed ancora che l’unica riflessione in Europa fu quella, discussa, di Enrico Berlinguer.

Le ultime sei delle venti interviste riguardano attori della politica italiana. Bruno Trentin, il sindacalista più acuto della sinistra, interviene (1986) sui ritardi decennali del sindacato e sul frantumarsi, nell’individualismo, della iniziativa collettiva, Sergio Cofferati (1997) sull’opposizione alla cancellazione della contrattazione nazionale, Massimo D’Alema (1998), in un fitto contraddittorio polemico con l’autrice, delinea il volto di un movimento progressivo che ha rotto con qualunque residuo di comunismo, con un vecchio “corporativismo” che difende una idea superata di lavoro e che ripropone anche proprietà ed intervento pubblici.

Molto diverse le parole di Bertinotti che, nello stesso anno, assiste all’esaurimento dell’esperienza del governo di centro - sinistra: Si va a sfinirsiNon si può chiedere sangue gratis a Rifondazione.

Emergono la necessità di un progetto pubblico, simile a quello della prima stagione del centro – sinistra, un protagonismo che eviti il logoramento, ma anche l’emarginazione.

Di grande interesse l’analisi (1993)di Giuseppe De Rita, un cattolico mai identificato con la DC, sulla crisi dei partiti e la fine di destra e sinistra, per la scomparsa di schieramenti e di rappresentazione dei bisogni (che si autorappresentano), in un capitalismo senza guida, allo sbando e sotto il ricatto della speculazione.

Pietro Ingrao, costante riferimento per Rossanda, allora leader della sinistra interna al PCI, in opposizione alle scelte di Occhetto, riflette su una sconfitta in corso (l’egemonia di destra che sta emergendo nell’Europa dell’est) e su battaglie non date negli anni ’60, quando ancora, a livello nazionale e internazionale, vi erano possibilità di successo.

Il quadro è quello di un paese con una Costituzione keynesiana, con il maggiore partito comunista europeo che la morte di Berlinguer precipita verso la scomparsa e che la crisi, dal 2007, inquadra in tutta la sua debolezza strutturale.

Con il volgere del secolo, di sinistra, anche della più moderata, non rimane nulla.

Un testo di non comune valore, per la grandezza delle personalità intervistate, per la riproposizione di dibattiti di grande valenza, per la splendida introduzione di Rossanda che offre un filo interpretativo, certo molto amaro.

 

Non è estraneo alle riflessioni politiche e culturali di Rossanda, il secondo testo, solo apparentemente atipico nella lunga bibliografia della autrice.

Due generazioni e due diverse formazioni si confrontano e si scontrano non solamente sulla storia del cinema, ma su differenti canoni critici ed estetici, a lungo discussi in decenni di lavoro comune al “Manifesto”, dove Ciotta e Silvestri seguono il cinema.

La conversazione/scontro percorre la storia del cinema, ma anche il suo ruolo nell’immaginario e nelle nostre vite. I primi film visti, il ruolo del grande stagione sovietica e di quella rooseveltiana negli anni ’30, la splendido neorealismo italiano, il suo venir meno negli anni ’50, il divismo (Volevo essere Ava Gardner), gli anni ’60, con una nuova “centralità” italiana (Pasolini, Fellini, Antonioni…) e l’esplosione della Nouvelle vague francese (stupisce la sottovalutazione da parte di Rossanda).

Ed ancora, le ondate del cinema giapponese e di quello tedesco, l’emergenza del “terzo mondo”, oltre le immagini dell’Occidente, le trasformazioni nel cinema statunitense, sino ai generi, a fantascienza, dark ladies, divi, documentari e fiction sino alla scomparsa delle pellicole che ci hanno accompagnati per decenni e allo smaterializzarsi dell’immagine analogica.

Oltre a tanti ricordi personali, dalla visita al “Manifesto” di una giovane Jane Fonda alla frequentazione di tanti registi del “cinema democratico” italiano, emerge una differenza generazionale (e di cultura politica) che porta a diversi giudizi e letture.

Il nodo è, in Ciotta e Silvestri, la sopravvalutazione della funzione dell’immaginario rispetto alla materialità dei processi storici, che Rossanda, impenitente marxista comunista, pone sempre come centrali e condizionanti la società.

Cartina di tornasole è il diverso giudizio su Guerre stellari (1977) di Lucas, che i “giovani” leggono come epocale, quasi esaltazione di una rivolta contro il potere costituito, prima opera di un filone fantascientifico postindustriale, esemplare dissidio fra bene e male e che “la vecchia marxista” vede come esemplare del liberismo trionfante, in cui l’individuo non è in relazione e tensione con gli altri.

Il dialogo si dipana per oltre 350 pagine, toccando un secolo di storia e di personaggi dell’arte cinematografica, con giudizi sempre netti e netti dissensi fra gli autori. Spesso a Rossanda tocca ripercorrere pagine di estetica marxista, dai limiti del PCI stalinizzato, alla  pubblicazione di Gramsci, dall’incapacità di comprendere l’arte contemporanea all’apertura agli intellettuali, da Umberto Barbaro a Brecht, sino (per lei un paradosso!) a rischiare l’accusa di ortodossia.

La lettura dei film del secolo è sempre legata alla storia, a riferimenti culturali complessivi, ai legami con i grandi nodi (fascismo, nazismo, ascesa e contraddizioni del movimento comunista, ’68, mutamento successivo del ruolo della politica, “poltiglia” attuale).

Per questo è lettura consigliata non solamente per appassionati/e della settima arte, ma anche per chi cerchi una lettura più ampia e complessiva della storia del “secolo breve” e dei contraddittori decenni che lo hanno seguito e lo seguono.

Sergio Dalmasso.